Premio Nansen

Il Premio

Pochi premi umanitari possono vantare la stessa ricca eredità del Premio Nansen per i Rifugiati dell’UNCHR. Istituito nel 1954, il premio dà riconoscimento a una straordinaria e comprovata azione umanitaria in favore di rifugiati, sfollati o apolidi. Attualmente il premio consiste in una medaglia commemorativa e in un premio in denaro del valore di 100.000 dollari. Il premio monetario viene utilizzato dal vincitore, in stretta concertazione con l’UNHCR, per finanziare un progetto che valorizzi il lavoro che già compie in favore delle persone sfollate.

Il Premio Nansen per i Rifugiati prende il nome da Fridtjof Nansen, esploratore polare e umanitario norvegese che negli anni venti ha ricoperto il ruolo di primo Alto Commissario per i Rifugiati per la Società delle Nazioni. Nel 1922 Nansen ha vinto il premio Nobel per la pace in riconoscimento del suo coraggioso e infaticabile lavoro in favore dei rifugiati della Prima Guerra Mondiale. Il Premio Nansen per i Rifugiati, attraverso i suoi vincitori, si propone di ricordare i valori di perseveranza e tenacia di fronte alle avversità che lo hanno guidato durante il suo mandato.
Il Premio Nansen per i Rifugiati vanta una lunga lista di vincitori, tra cui Eleanor Roosevelt, Graça Machel, Medici senza Frontiere e altri eroi meno noti che hanno lavorato in contesti pericolosi per salvare vite e sostenere la causa dei migranti forzati. Anche se provenienti da ambienti diversi, tutti i vincitori condividono una caratteristica: l’eccezionale impegno e la disinteressata dedizione alla causa dei rifugiati. Approfondisci le loro storie, qui.

Vincitori regionali del Premio Nansen 2019

Un attivista che riunisce comunità lacerate dai conflitti nella Repubblica Democratica del Congo; una giovane donna transessuale che difende i diritti della comunità LGBTI a El Salvador; un fisioterapista che rimette in piedi gli afghani feriti; una volontaria che aiuta i siriani a ricominciare le loro vite in Giordania e un programma che offre canali sicuri ai rifugiati per ricevere protezione e la possibilità di ricostruirsi un futuro migliore in Italia.

Questi sono gli eroi che ogni giorno aiutano le persone costrette a fuggire, scelti tra oltre 200 nominati come vincitori regionali del Premio Nansen per i Rifugiati 2019.

Il prestigioso premio annuale rende onore a singoli, gruppi e organizzazioni che si impegnano a fondo per proteggere rifugiati, sfollati interni e apolidi in tutto il mondo.

I cinque vincitori regionali del Premio Nansen per i Rifugiati 2019 per Africa, Americhe, Asia, Europa e Medio Oriente sono:

  • Africa: Evariste Mfaume, fondatore dell’Ong Solidarité des Volontaires pour l’Humanité (SVH) nella Repubblica Democratica del Congo, che sostiene i diritti dei congolesi costretti a abbandonare le loro case a causa del conflitto, e anche dei rifugiati e delle loro comunità ospitanti;
  • Americhe: Bianka Rodriguez di El Salvador, una giovane donna transessuale e direttrice esecutiva dell’Ong COMCAVIS TRANS, che sostiene i diritti delle persone LGBTI+ costrette alla fuga nel Paese;
  • Asia: Alberto Cairo, fisioterapista in Afghanistan e direttore del Programma Ortopedico del Comitato Internazionale della Croce Rossa, che da quasi 30 anni fornisce delle protesi a cittadini afghani con disabilità e aiuta i feriti a trovare un lavoro;
  • Europa: Corridoi Umanitari, una partnership unica che offre canali sicuri ai rifugiati per ricevere protezione e la possibilità di ricostruirsi un futuro migliore in Italia;
  • Medio Oriente: Abeer Khreisha, volontaria comunitaria della Giordania, conosciuta come ‘la madre dei siriani’ per i suoi 30 anni di impegno a favore dei rifugiati.

Vincitore globale del Premio Nansen per i Rifugiati 2019

Biografia di Azizbek Ashurov

Azizbek Ashurov, avvocato per i diritti umani e direttore esecutivo della ONG Ferghana Valley Lawyers Without Borders (FVLWB) nella Repubblica del Kirghizistan è il vincitore del Premio Nansen per i Rifugiati dell’UNHCR per il 2019.

Esperto in diritto della cittadinanza, Ashurov ha trascorso gli ultimi 15 anni ad aiutare le persone che vivono nella Valle di Ferghana, in Kirghizistan e nei dintorni della regione, a ottenere la cittadinanza kirghisa. Ha inoltre il merito, ampiamente riconosciuto, di aver aiutato il Paese a diventare il primo al mondo a porre fine all’apolidia nel 2019.

“Il nostro metodo principale era lavorare con il governo. Noi siamo piccoli guerrieri, ma alle nostre spalle c’era un potente carro armato”.

Sotto il controllo sovietico, senza la presenza di confini interni, le persone erano libere di muoversi all’interno dell’Asia centrale, acquisire la residenza e sposarsi. Dopo la dissoluzione dell’URSS nel 1991 e la nascita di nuovi stati, in molti sono rimasti bloccati all’interno dei nuovi confini nazionali, spesso con passaporti sovietici non più validi o senza altra possibilità di dimostrare il luogo di nascita. Centinaia di migliaia di cittadini nella regione, incluso il Kirghizistan, sono diventati apolidi.

Spinto dalla difficile esperienza vissuta dalla propria famiglia nell’acquisizione della cittadinanza dopo l’arrivo dall’Uzbekistan all’indomani della dissoluzione dell’USSR, nel 2003 Ashurov ha contribuito a fondare la ONG FVLWB, con l’obiettivo di offrire consulenza legale e assistenza gratuita a gruppi vulnerabili di persone sfollate, apolidi e prive di documenti nella parte meridionale del Kirghizistan.

La Valle di Ferghana – un’area densamente popolata dell’Asia centrale ai confini con l’Uzbekistan e il Tagikistan – è stata particolarmente colpita dal fenomeno dell’apolidia. Poiché sempre più persone si rivolgevano a FVLWB per chiedere aiuto in merito a questioni relative alla cittadinanza, l’organizzazione ha iniziato a occuparsi dei casi presenti nel Paese, collaborando con altri partner per mapparli, per la prima volta, nel tentativo di porre fine a questa drammatica situazione.

Grazie alla creazione di unità mobili (o itineranti), Ashurov e il suo team si sono messi alla ricerca di individui apolidi, recandosi in aree remote del Paese per individuare gruppi vulnerabili e socialmente emarginati. Per poter attraversare i territori montuosi della regione, i team legali si servivano di veicoli a quattro ruote motrici, percorrendo a cavallo tratti come colline accidentate o vallate scoscese, inaccessibili ai mezzi.

Ashurov ha inoltre stretto un forte legame con la comunità Lyuli, un gruppo nomade molto compatto, che conta 4.600 membri sparsi in tutta l’Asia centrale e spesso costretti a vivere ai margini della società in quanto privi di documenti.

Parallelamente a questa attività, Ashurov si è adoperato per raggiungere traguardi che hanno costituito importanti precedenti giuridici per l’intero Paese. La collaborazione con le autorità kirghise, che ha condotto, tra le altre cose, a un’“amnistia” temporanea per le persone prive di documenti fondamentali, ha consentito la naturalizzazione di molti apolidi. I suoi approcci innovativi nella lotta all’apolidia sono ora promossi dall’UNHCR come esempi di buone pratiche in tutta l’Asia centrale.

Il lavoro di Ashurov non è ancora finito. Insieme alla sua organizzazione si sta adoperando affinché ogni bambino venga registrato alla nascita e vengano adottate tutele giuridiche contro l’apolidia. Nel 2015 ha avuto un ruolo di primo piano, con l’UNHCR e altre ONG, nella creazione della Rete dell’Asia centrale sull’apolidia (CANS) per riunire la società civile e le istituzioni accademiche impegnate in tutta la regione nella lotta contro l’apolidia.

Come il Kirghizistan, molti altri Stati della regione hanno avviato una serie di campagne grazie alle quali ad oggi sono stati identificati circa 46.000 casi di apolidia, dei quali 34.500 hanno avuto esito positivo.

Un caso di apolidia

“Prima di ottenere i documenti non avevo mai lavorato. Ora ho gli stessi diritti di un cittadino e sono molto felice che anche mia figlia li abbia. Mi piace molto questo lavoro”.

Nazgul, 22 anni, sognava da sempre un lavoro in regola, ma senza certificato di nascita lei e la figlia sono sprofondate nella povertà e nella disperazione.

Ora, grazie agli instancabili sforzi compiuti dal governo del Kirghizistan per porre fine all’apolidia, Nazgul ha finalmente ottenuto i documenti e in poco tempo ha trovato un lavoro come cameriera in un bar vicino a casa. Finalmente può dare a sua figlia un futuro migliore.

“Mi piace molto questo lavoro” afferma felice, allacciandosi il grembiule. “Mi piace parlare e conoscere persone nuove. Mi piace anche passare del tempo con i colleghi”.

“I documenti sono molto importanti. Permettono di mandare i figli all’asilo e dar loro un’istruzione. Ora ho gli stessi diritti di un cittadino e anche mia figlia. Vorrei davvero che nella vita riuscisse ad avere molto più di quanto ho ottenuto io”.

L’apolidia nella Repubblica del Kirghizistan e in Asia centrale

Sotto il controllo sovietico, senza la presenza di confini interni, le persone erano libere di muoversi, acquisire permessi per la residenza, sposarsi e vivere liberamente in Asia centrale. Dopo la dissoluzione dell’URSS nel 1991 e la nascita di nuovi stati, in molti sono rimasti bloccati all’interno dei nuovi confini nazionali, spesso con passaporti sovietici non più validi o senza la possibilità di dimostrare il luogo di nascita. Centinaia di migliaia di cittadini nella regione, incluso il Kirghizistan, sono diventati apolidi.

Questa situazione ha colpito in modo particolare le donne, che si sono spesso ritrovate senza cittadinanza dopo il matrimonio e lontane dal Paese in cui vivevano prima della dissoluzione dell’URSS. Inoltre, in virtù del principio di ereditarietà in materia di cittadinanza, la loro apolidia è stata trasmessa ai figli.

Nel 2019 il Kirghizistan è diventato il primo Paese della regione – e del mondo – a porre fine all’apolidia. In base ai dati più recenti (metà 2019) relativi alla più ampia regione dell’Asia centrale, si calcola che siano rimasti più di 98.000 casi di apolidia in Kazakistan, Turkmenistan, Uzbekistan e Tagikistan, anche se si ritiene che il numero reale sia più elevato. Nella regione ci si adopera costantemente per sensibilizzare le persone che vivono in comunità isolate, affinché non temano di presentarsi ed essere identificate.

I flussi migratori all’interno della regione e oltre i suoi confini, insieme alla mancanza di tutele efficaci in materia di cittadinanza, continuano a far emergere nuovi casi di apolidia. Nell’immediato futuro, la sfida principale che attende l’Asia centrale nella lotta all’apolidia è far sì che gli Stati della regione aderiscano alle Convenzioni sull’apolidia e ne recepiscano le disposizioni nella legislazione nazionale, anche attraverso garanzie di prevenzione dell’apolidia.

La campagna #IBelong e l’incontro ad alto livello sull’apolidia nel 2019

Nel novembre 2014, l’UNHCR ha lanciato un Piano d’azione globale per porre fine all’apolidia: 2014-2024, sviluppato in consultazione con gli Stati, la società civile e le organizzazioni internazionali. Il Piano stabilisce un quadro di orientamento costituito da dieci azioni che gli Stati e la comunità internazionale nel suo insieme dovranno intraprendere per porre fine all’apolidia nel decennio in corso.

Nel 2019, anno che segna la scadenza intermedia della campagna #IBelong per porre fine all’apolidia, l’UNHCR ha convocato un incontro ad alto livello sull’apolidia che si terrà il 7 ottobre 2019 in occasione della riunione del Comitato esecutivo dell’UNHCR a Ginevra. L’obiettivo dell’evento è quello di valutare i risultati finora raggiunti, mostrare le buone pratiche e incoraggiare impegni concreti da parte di Stati e altri soggetti (organizzazioni regionali, organizzazioni internazionali, settore privato, società civile ecc.) ad agire per affrontare la questione dell’apolidia nei restanti cinque anni della campagna.