Un attivista congolese dedica la sua vita alle persone in fuga

Evariste Mfaume, attivista per i diritti umani, è il vincitore per l’Africa del Premio Nansen per i Rifugiati dell’UNHCR.

All’arrivo di Evariste Mfaume in una fattoria comunitaria nell’est della Repubblica Democratica del Congo, le donne interrompono le loro attività per accoglierlo con canti e balli. Un campo verde brillante, di piante di manioca, è il frutto del loro lavoro; ma la sua realizzazione non sarebbe stata possibile senza Evariste.

“Siamo grati a Evariste perché si è dato molto da fare affinché potessimo coltivare questo terreno,” afferma Ungwa Sangani, bracciante congolese.

Per anni Mfaume, 46 anni, ha sostenuto i diritti dei cittadini congolesi in fuga dai conflitti, come pure dei rifugiati e delle comunità ospitanti. Sostiene in particolare che queste persone debbano avere della terra da coltivare, per poter generare reddito e ricostruire le proprie vite.

Per il suo impegno, Mfaume è stato selezionato come vincitore per l’Africa del Premio Nansen per i Rifugiati dell’UNHCR, un prestigioso premio annuale che onora la straordinaria azione umanitaria a favore di rifugiati, sfollati o apolidi.

Il vincitore a livello globale verrà annunciato il 2 ottobre e riceverà il Premio durante la cerimonia che si terrà a Ginevra il 7 ottobre.

Nel 2003 Mfaume ha fondato Solidarité des Volontaires pour l’Humanité (Solidarietà dei Volontari per l’Umanità) nella regione del Sud Kivu, di cui è originario, e che è stata colpita da anni di tumulti e violenze.

“Sentivo dentro di me la chiamata della dignità umana, che mi ha spinto a dedicare le mie energie a cercare di fare qualcosa.”

“Ho cominciato questo lavoro in un ambiente politico molto difficile,” spiega Mfaume, il quale ha vissuto più volte sulla propria pelle l’esperienza della fuga, insieme alla moglie e ai figli. “Ho visto persone uccise, donne violentate, proprietà saccheggiate e distrutte,” racconta. “Ma in quanto essere umano, sentivo dentro di me la chiamata della dignità umana, che mi ha spinto a dedicare le mie energie a cercare di fare qualcosa.”

Così, Mfaume ha iniziato a denunciare le violazioni dei diritti umani in Congo, poi nella vicina Tanzania, in Burundi e in altri paesi.

Durante il tempo trascorso nel campo di Nyarugusu in Tanzania, nel 2005, Mfaume ha incontrato molti rifugiati congolesi che desideravano tornare a casa ma che non avevano nessun posto cui fare ritorno.

“Quando torni nel tuo paese da sfollato e non sei in grado di trovare un luogo in cui ricominciare la tua vita, ti ritrovi in uno stato di confusione totale,” afferma.

Gli agricoltori congolesi e rifugiati provenienti dal Burundi che lavorano nella fattoria in cui si coltivano piante di manioca sono un esempio significativo. I 150 agricoltori, tra cui vi sono persone sfollate, hanno trovato un modo di ricostruire le loro vite grazie alla fattoria – una delle tre fattorie comunitarie occupanti tre ettari di terreno che Mfaume ha aiutato a creare con il supporto della comunità e delle autorità locali.

Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari (OCHA), anni di conflitto hanno reso 4,5 milioni di congolesi sfollati e costretto altri 850.000 a fuggire oltre i confini del Paese. Il Congo ospita inoltre più di mezzo milione di rifugiati provenienti da altri paesi.

Nel sostenere i diritti delle persone in fuga, Mfaume si è rivolto al Governo affinché lotti di terreno inutilizzato nella boscaglia venissero distribuiti a coloro che avevano fatto ritorno nel paese, portando alla creazione dei cosiddetti “villaggi di pace” a Baraka, Fizi, Sebele e Mboko nella regione del Sud Kivu.

Dal 2006, oltre 19.000 famiglie hanno fatto ritorno a questi villaggi per ricostruire le loro vite.

“Queste erano aree boschive. Vederle ora, così sviluppate e piene di gente, mi dà speranza e la forza per continuare questo lavoro,” afferma Mfaume.

In virtù di questa esperienza, Mfaume ritiene che l’accesso equo alla terra e la collaborazione tra rifugiati e popolazioni locali siano fondamentali per la pace e la stabilità. Si tratta di un approccio condiviso dal Patto Globale sui Rifugiati adottato lo scorso anno dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. E le donne giocano un ruolo chiave nel progetto di Mfaume.

“Le donne sono entusiaste,” afferma. “Quando si affrontano così tante difficoltà, è importate avere qualcosa che ti dia speranza.”

Claudine Nyanzira è tra le persone che beneficiano del progetto. Prima di parteciparvi, viveva nell’insediamento di rifugiati di Lusenda, nell’est della Repubblica Democratica del Congo, dopo essere fuggita dal Burundi nel 2015.

“La vita era molto difficile perché non avevamo molto cibo né vestiti,” racconta Nyanzira, 29 anni. “Perciò quando questo progetto ha avuto inizio sono stata felice di partecipare.”

Il campo accoglie attualmente circa 30.000 rifugiati provenienti dal Burundi, oltre la metà dei quali ha meno di 18 anni.

Nyanzira, incinta di 7 mesi, attende con trepidazione il raccolto che aiuterà la sua famiglia e il resto della comunità.

“Porteremo la manioca al mulino e il denaro che ricaveremo ci aiuterà a pagare le tasse scolastiche per i nostri figli.”

Nell’aiutare migliaia di persone come Nyanzira e Sangani, Mfaume ha dovuto affrontare anche numerose sfide.

“Quando lottiamo per i diritti delle donne spesso ci scontriamo con i capi tradizionali locali, secondo i quali contribuiamo a creare una mentalità, nelle donne, che rende più difficile agli uomini mantenere il controllo su di loro,” spiega.

L’impegno di Mfaume è stato di ispirazione per molte altre persone, tra cui Jacques Asunge, che si è unito all’ONG cinque anni fa e che oggi ne è il project manager.

“Evariste è molto coraggioso e ha la determinazione per portare a termine quel che si prefigge,” afferma Asunge. “La sua forza è dovuta al desiderio che ha di aiutare gli altri, e credo sia qualcosa che lo accompagna sin dalla nascita.”

“Quando esalerò l’ultimo respiro, quel che avrò fatto sarà abbastanza.”

Mfaume è determinato a continuare il suo lavoro e ad aiutare gli altri. “Ho uno scopo, e finché sarò qui continuerò a lavorare,” afferma. “Quando esalerò l’ultimo respiro, quel che avrò fatto sarà abbastanza.”

Il Premio Nansen per i Rifugiati dell’UNHCR deve il suo nome all’esploratore e filantropo norvegese Fridtjof Nansen, primo Alto Commissario per i Rifugiati, incaricato dalla Società delle Nazioni nel 1921. Il premio ha lo scopo di onorarne la perseveranza e l’impegno nonostante le avversità.

 

Scopri chi sono gli altri quattro vincitori regionali del Premio Nansen per i Rifugiati 2019: https://www.unhcr.it/news/i-corridoi-umanitari-vincitore-regionale-per-leuropa-del-premio-nansen-per-i-rifugiati-dellunhcr.html