L’omofobia e i rifugiati Lgbti

Giornata mondiale contro l’omofobia: 73 i paesi del mondo in cui le persone Lgbti sono perseguitate. Alcuni scelgono di fuggire

 L'omofobia e i rifugiati Lgbti

Di Alessandro Lanni (@alessandrolanni)

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La situazione dei diritti umani delle persone Lgbti in tutto il mondo continua a essere allarmante. Malgrado un miglioramento complessivo, in molti paesi i rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso sono puniti da pene severe, e addirittura con la morte. In Europa – il caso della Cecenia e delle persecuzioni dei gay è ancora cronaca – esistono legislazioni che penalizzano la libera espressione della propria sfera affettiva. Nella stessa Ue la comunità Lgbti è vittima di discorsi d’odio, di violenze anche fisiche e – come notava già qualche anno fa il rapporto Fleeing Homophobia – diverso e contraddittorio è l’atteggiamento degli Stati membri nel riconoscimento dei diritti dei richiedenti asilo Lgbti.

Cosa s’intende per Lgbti?

Con quest’acronimo si tengono insieme varie categorie che riguardano tanto l’orientamento sessuale quanto la dimensione di genere delle persone.

Lesbica: una donna che è attratta fisicamente, sentimentalmente e/o emotivamente da altre donne in modo continuativo.

Gay: usato per descrivere – perlopiù – un uomo che è fisicamente, sentimentalmente e/o emotivamente attratto da altri uomini in modo continuativo.

Bisessuale: una persona che è attratta fisicamente, sentimentalmente e/o emotivamente sia da uomini sia da donne.

Transgender: persone la cui identità di genere e/o espressione di genere sono diverse rispetto al sesso biologico che è stato loro assegnato alla nascita.

Intersessuale: si riferisce a una condizione per cui una persona è nata con una conformazione anatomica dell’apparato riproduttivo o sessuale, e/o un assetto cromosomico che non sembrano corrispondere alle nozioni biologiche tipiche dell’essere uomo o donna.

Lo status di rifugiato per persone Lgbti

Nella Convenzione di Ginevra del 1951 si riconosce il diritto soggettivo a chiedere protezione a chiunque abbia il timore di essere perseguitato per motivi di razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per opinioni politiche. All’origine non si faceva esplicito riferimento all’orientamento sessuale e all’identità di genere come caratteristiche decisiva ma – come sottolineano le linee guida dell’Unhcrconsiderata l’importanza identitaria di tali caratteristiche sono state inserite tra gli elementi rilevanti della definizione di rifugiato.

Come decidere se una persona Lgbti ha diritto all’asilo? Innanzitutto, spiega l’Unhcr, se nel suo paese è costretto a nascondere la sua identità di genere o il suo orientamento sessuale. Se esiste una fondata preoccupazione di poter subire persecuzioni allora la domanda è fondata e lo status può e deve essere accordato non solo se le persecuzioni provengono dallo Stato, ma anche da quelli che vengono definiti “attori non statali” ovvero la famiglia, bande criminali o anche la comunità intesa in senso ampio.

«In quel paese non c’è una guerra, dunque chi fugge da lì non può essere un rifugiato». Quest’argomento principe di una certa propaganda di fronte ai rifugiati Lgbti cade per due ragioni: 1) perché ogni individuo può essere vittima di persecuzioni indipendentemente dalla guerra in patria 2) perché gay, lesbiche e transessuali sono vittime di violenze anche in paesi che sono considerati sicuri.

Quanti paesi perseguitano le persone Lgbti?

L’Ilga (International lesbian, gay, bisexual, trans and intersex association) ha pubblicato l’11esima edizione dello State-Sponsored Homophobia report (pdf) – uscita nel maggio 2017 – nella quale si certificano quali e quante sono le persecuzioni che ancora subiscono le persone Lgbti in numerosi paesi del mondo.

Sono 73 gli Stati che hanno norme esplicite che criminalizzano i rapporti sessuali tra adulti dello stesso sesso consenzienti e tra questi ce ne sono 45 (24 in Africa, 13 in Asia, 6 in America e 2 in Oceania) nei quali la legge è applicata tanto agli uomini quanto alle donne. Dunque, poco meno del 40% dei paesi riconosciuti dall’Onu (193) prevede reati legati ai rapporti sessuali tra persone Lgbti.

In 13 paesi aderenti alle Nazioni Unite – pari al 6% – è prevista la pena di morte per chi ha rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso.

Mentre sono 17 i paesi che hanno adottato leggi contro la “propaganda” o “promozione” di comportamenti sessuali “non tradizionali”. Si tratta di 7 paesi africani (tra cui Egitto, Algeria, Libia, Tunisia e Marocco), 8 asiatici (tra cui Siria, Libano, Iraq e Giordania) e due europei, la Russia e addirittura la Lituania, che fa parte dell’Ue e che nel gennaio 2014 ha adottato una norma contro le manifestazioni che violano i valori “tradizionali della famiglia”.

In molti Paesi, inoltre, sebbene non siano imposte sanzioni penali nei loro confronti, le persone Lgbti sono sottoposte ad un livello di discriminazione e violenza tali da costringerle alla fuga.

Per contro, oggi sono 22 i paesi che prevedono il matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Da dove vengono i rifugiati Lgbti?

Difficile dirlo. Le commissioni in Italia non rilasciano dati (a differenza di altri paesi) sui motivi per cui le persone presentano la richiesta d’asilo. Nonostante ciò si può sottolineare un elemento esterno, ovvero che tra le 10 nazionalità più ampie per richieste d’asilo nel nostro paese nel 2016, 8 hanno legislazioni molto dure nei confronti di persone omosessuali e transgender. Inoltre, ed è importante notarlo, molti richiedenti Lgbti possono provenire da paesi dai quali ormai il flusso si è quasi interrotto. E questo perché persecuzioni nei loro confronti esistono anche in quei paesi che noi riteniamo “sicuri” come quelli del Nord Africa (o la stessa Russia da dove nel 2016 sono arrivati più di 25mila richiedenti asilo in Europa) indicati nel rapporto Ilga.