Un nuovo inizio
L’arrivo di acqua potabile pulita riporta la vita nel traumatizzato villaggio di Amadi nel Sud Sudan.
Riusciresti a vivere in un villaggio dove l’unica fonte di acqua è contaminata da cadaveri? È stata questa la situazione che i residenti del villaggio Amadi hanno dovuto affrontare quando hanno cercato di tornare a casa, durante una tregua dalla violenza che sta devastando il Sud Sudan.
“Quando i nostri mariti e i giovani del villaggio sono andati a controllare il paese, qualche tempo dopo che le sparatorie si erano fermate, si sono imbattuti in corpi di soldati e civili sparsi nei nostri campi e nei ruscelli da cui prendevamo l’acqua”, ricorda Hawa Ladu, madre di sei figli.
Il piccolo villaggio di Amadi si trova a 25 km dalla capitale del Sud Sudan, Juba, e – fortunatamente per i suoi abitanti – a soli tre chilometri dall’accampamento UNHCR di Gorom, che ospita 2.500 rifugiati etiopi. “Consideravamo Gorom come il posto più sicuro per cercare rifugio, perché è dove si trova l’UNHCR”, racconta Hawa.
Dopo la fine dei combattimenti in Amadi, agli abitanti del villaggio fu detto che sarebbe stato sicuro per loro ritornare a casa. Ma come potevano tornare indietro quando non c’era acqua potabile nel loro villaggio? Una missione di monitoraggio dell’UNHCR confermò ciò che gli abitanti avevano già scoperto – resti umani in decomposizione inquinavano l’unica fonte d’acqua.
È stato imperativo agire in fretta per incoraggiare la comunità di Amadi a ritornare al proprio villaggio, fonti di approvvigionamento alternative dovevano essere trovate immediatamente. Un partner dell’UNHCR, ACROSS, ha individuato una società di perforazione dell’acqua e in sole due settimane il villaggio aveva due pozzi funzionanti – pronti a soddisfare le esigenze dei suoi abitanti. Gli uomini sono venuti prima per verificarne la sicurezza, poi le loro famiglie li hanno seguiti.
“Non posso dirvi quanto siamo grati per i pozzi che l’UNHCR ci ha fornito”, conclude Hawa.