SOPRAVVISSUTA ALLA VIOLENZA, UNA QUINDICENNE AFFRONTA NUOVE SOFFERENZE IN NIGER

Dopo essere sfuggita al matrimonio forzato nella prigionia di Boko Haram, la quindicenne Adia* è tra le molte donne e ragazze costrette a prostituirsi per sopravvivere.

Rapita e tenuta prigioniera dai militanti di Boko Haram a soli 13 anni, Adia* ha dovuto affrontare una scelta desolante: sposare uno dei combattenti o affrontare un’esecuzione pubblica.

“Seppellivano le persone vive, lasciando solo la testa fuori, fino a quando non erano morte”, spiega. “Se parli, se implori pietà per qualcuno, vieni ucciso anche tu”, aggiunge.

Rapita al confine tra Nigeria e Niger, Adia à stata tenuta prigioniera per cinque mesi. Separate dai ragazzi, le donne erano tenute all’interno di un recinto circondato da una recinzione alta e appuntita, in balia dei capricci dei rapitori.

“Mangiavamo e bevevamo quando loro ne avevano voglia. Spesso ci lasciavano per giorni senza cibo”, dice.

I ragazzi erano lì per allenarsi a combattere. Le ragazze erano lì per diventare le loro mogli o altrimenti diventare bombe umane – costrette ad entrare in villaggi e mercati con esplosivi legati ai loro corpi e fatti detonare a distanza da Boko Haram.

“Seppellivano le persone vive”.

Mentre aspettavano il loro destino, tutti erano costretti a lavorare come schiavi e, quando non lavoravano, erano sottoposti a “insegnamenti religiosi”. Se non seguivano gli ordini, venivano picchiati.

I militanti venivano a prendere le ragazze una per una, per sposare uno dei combattenti. Quando è toccato ad Adia, lei ha rifiutato. Anche altre ragazze avevano rifiutato, ed erano state giustiziate pubblicamente di fronte ai bambini.

Fortunatamente per lei, il leader del gruppo Boko Haram decise di concederle un po’ di tempo per cambiare idea. Nel frattempo era scoppiata una battaglia nelle vicinanze e la maggior parte dei combattenti era partita. Un gruppo di ragazze e ragazzi colse l’opportunità di scappare, sapendo che se fossero stati catturati avrebbero affrontato un’esecuzione pubblica, come quelle a cui avevano assistito.

Il gruppo ha camminato tutte le notti per una settimana prima di raggiungere Maiduguri, la capitale dello stato del Borno nel nord-est della Nigeria. A Maiduguri Adia è salita su una macchina diretta in Niger, dove le fu detto che sarebbe stata al sicuro. Purtroppo, il suo calvario non sarebbe finito lì.

Adia ha raggiunto Kindjandi, nella regione di Diffa nel sud-est del Niger, che ospita circa 25.000 persone costrette a fuggire a causa della violenza, bambini, donne e uomini rifugiati o sfollati interni. Non aveva nient’altro che i vestiti che indossava e non sapeva dove fosse la sua famiglia. Adia era stata costretta a sposarsi a 13 anni con un uomo di 20 anni più grande, e ora suo marito era scomparso.

Un gruppo di ragazze della sua stessa età ha avuto pietà di lei e le ha permesso di vivere insieme nel loro rifugio. Ma senza mezzi di guadagno e senza aiuti umanitari, le possibilità di non dover ricorrere alla prostituzione, o più precisamente al survival sex (“sesso di sopravvivenza”), erano davvero poche.

“Sono rimasta incinta subito, dopo solo un mese o due… non ho idea di chi sia il padre di mio figlio”.

“Sono rimasta incinta subito, dopo solo un mese o due… non ho idea di chi sia il padre di mio figlio”, dice, mentre fa saltare il bambino di un anno e mezzo sulle sue ginocchia.

“Non mi piace fare quello che faccio… ma se non lo faccio, mio figlio soffrirà la fame. Spesso non mi pagano, mi danno solo del cibo che condivido con il mio bambino. Quando non riesco a trovare un uomo durante il giorno, allora quella notte patiamo la fame”, aggiunge.

La storia di questa ragazza di soli quindici anni purtroppo è fin troppo comune. Adia è una degli oltre 118.000 rifugiati nigeriani di Diffa che sono fuggiti da Boko Haram e oltre 25.000 cittadini nigerini costretti a tornare in patria dalla Nigeria a causa del conflitto.

Quasi 105.000 persone sono sfollate nella stessa regione di Diffa dal 2015, quando le violenze si sono diffuse attraverso il confine dalla Nigeria.

Più della metà delle persone in fuga sono donne, mentre il 55% ha meno di 18 anni. Tra loro, almeno 3.500 persone sono sopravvissute alla violenza sessuale o di genere, nota come SGBV.

“L’SGBV può assumere molte forme. La violenza e l’abuso colpiscono non solo le donne e le ragazze fuggite da Boko Haram, ma l’intera famiglia, la comunità nel suo complesso, viene destabilizzata, umiliata, marginalizzata e stigmatizzata”, afferma Alessandra Morelli, rappresentante dell’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, in Niger.

“Dobbiamo riconoscere la violenza sessuale e di genere come un crimine”.

La situazione delle giovani ragazze rapite e forzatamente sposate o usate come bombe umane da Boko Haram è stata sotto i riflettori nel 2014, quando quasi 300 ragazze sono state rapite da una scuola a Chibok, nel Borno. Tuttavia, questo non è stato un incidente isolato e le donne e le ragazze continuano a essere rapite regolarmente. Anche se fuggono, molte affrontano la stigmatizzazione nelle loro comunità.

L’UNHCR è la principale organizzazione nel fornire protezione e assistenza ai rifugiati e alle popolazioni sfollate nella regione di Diffa. Tuttavia, l’interesse dei donatori sta calando.

Nel gennaio 2018, l’UNHCR ha lanciato un appello regionale chiedendo 157 milioni di dollari per rispondere alle esigenze dei rifugiati in fuga da Boko Haram nel bacino del lago Ciad – comprendente il Niger, il Ciad e il Camerun. Alla fine di luglio, solo il 32% dei finanziamenti richiesti era stato ricevuto.

Nella regione di Diffa, l’UNHCR collabora con le organizzazioni partner e con i gruppi di protezione locali per migliorare la prevenzione dell’SGBV e garantire l’accesso a servizi di risposta adeguati, compreso il supporto medico, psico-sociale, economico e legale. Ma con il sottofinanziamento nel settore della protezione, questa assistenza non raggiunge tutti.

“Dobbiamo riconoscere la violenza sessuale e di genere come un crimine e una grave violazione del benessere, della libertà e dell’integrità di una persona”, sottolinea Morelli.

L’UNHCR sta cercando soluzioni appropriate per Adia. Inizieremo con il trasferirla in un campo per rifugiati dove avrà accesso ai servizi di base, compresa l’istruzione e una vasta gamma di servizi di supporto. Tra le possibili soluzioni verrà considerato anche il reinsediamento in un paese terzo – aiuto di cui ha urgente bisogno.

Mentre Adia ci lasciava, la sua figura minuta cedeva sotto il peso del bambino che portava sulla schiena, oltre al peso di tutto ciò che aveva sopportato.

* Nome cambiato per proteggere l’identità della persona sopravvissuta