Giovani rifugiati Rohingya lottano per ricevere un’istruzione

Molti giovani rifugiati Rohingya non hanno accesso all’istruzione, ma sono pronti a superare qualunque ostacolo pur di avere l’opportunità di imparare.

Non ci sono sedie né banchi nella stanza, e le pareti in legno di bambù sono decorate da appena qualche poster e alcuni disegni. Ma 30 giovani Rohingya dai 15 anni in su siedono per terra, piegate in avanti, scrivendo con la massima concentrazione davanti a una lavagna su cui è scritta una formula matematica.

Queste ragazze sono alcune delle poche fortunate adolescenti che riescono a portare avanti gli studi. Negli enormi insediamenti di rifugiati nel sud est del Bangladesh sono pochi i centri temporanei che offrono opportunità di apprendimento ai giovani dai 15 anni in su.

Circa il 55% dei rifugiati Rohingya ha meno di 18 anni, e non ha la possibilità di seguire il programma nazionale del Bangladesh.

Shehana, giovane Rohingya brillante ma timida, ha 16 anni e sa di essere fortunata rispetto a molti suoi coetanei, ma desidera poter essere ammessa all’istruzione ufficiale. È una delle ragazze che studia nella capanna di bambù, nota come “Diamond Adolescent Club”, creata circa due anni fa da CODEC, partner dell’UNHCR.

“In Myanmar ero in prima media. Volevo diventare insegnante e studiare al college. Mi piace insegnare, e sono contenta di essere qui,” afferma.

“Impariamo cose nuove quasi ogni giorno. Penso di essere fortunata, cerco di far capire agli altri perché l’istruzione è importante e di convincerli a lasciar studiare le ragazze, per avere migliori opportunità in futuro. Alcuni dei nostri parenti mi hanno ascoltato, e ora mandano le loro figlie a scuola.”

“Penso di essere fortunata, cerco di far capire agli altri perché l’istruzione è importante e di convincerli a lasciar studiare le ragazze, per avere migliori opportunità in futuro”.

Shehana proviene da una famiglia in cui l’istruzione è sempre stata considerata importante. Suo fratello Mohammed Sharif, 17 anni, studia nello stesso club di adolescenti con altri ragazzi nel pomeriggio, mentre una delle sue sorelle più grandi, la ventunenne Jannat Ara, insegna a bambini di 4 e 5 anni in un centro per l’apprendimento dove porta con sé anche sua figlia, di 5 anni.

Diventa subito chiaro che questa passione per l’istruzione si deve al padre di Shehana, Nur Alam, 43 anni, che in Myanmar insegnava a circa 450 alunni in una scuola a Maungdaw, nello stato di Rakhine.

 

Quando due anni fa la famiglia è fuggita dalle violenze in Myanmar ed è arrivata nell’insediamento di Kutupalong, Nur Alam si è offerto volontario per insegnare ai giovani rifugiati nella moschea allestita nel campo. Nur Alam prende il telefono e mostra una foto dei suoi ex studenti, un gruppo di ragazzi e ragazze, nella sua vecchia scuola.

“Mi viene da piangere ogni volta che vedo questa foto,” dice. “I miei studenti mi mancano molto. Tanti tra quelli che hanno finito la prima media sono qui nel campo, dove lavorano come volontari insieme a varie organizzazioni… quando mi vedono mi salutano. Mi dicono che avere ascoltato e imparato li ha aiutati a cogliere queste opportunità e che ora stanno meglio.”

“Mi viene da piangere ogni volta che vedo questa foto. I miei studenti mi mancano molto”.

I centri per l’apprendimento temporaneo aperti negli insediamenti accolgono minori di età compresa tra i 6 e i 14 anni; operano su tre turni, e di conseguenza riescono a offrire solo poche ore al giorno di apprendimento di birmano, inglese, matematica e abilità sociali, e non sono paragonabili a scuole vere e proprie.

Esistono piani per introdurre programmi di apprendimento informale approvati dal governo del Bangladesh in tutti gli insediamenti a partire da agosto, allo scopo di fornire ai rifugiati livelli di apprendimento paragonabili a quelli che altri minori raggiungerebbero attraverso un programma ufficiale.

Tuttavia, non esiste ancora un sistema di titoli riconosciuti per i rifugiati, né un programma di istruzione adeguato all’età per giovani dai 14 anni in su, benché molti di loro abbiano dovuto interrompere gli studi quando sono fuggiti dal Myanmar.

La mancanza di insegnanti qualificati è un altro serio problema, nonostante gli sforzi dell’UNHCR e delle agenzie e organizzazioni partner per rafforzarne la formazione.

Poiché in Bangladesh centinaia di migliaia di giovani Rohingya non hanno la possibilità di seguire il programma nazionale ufficiale, si è molto lontani dal raggiungimento dell’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile 4, secondo cui occorre “fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti”.

“Il sistema al momento esistente negli insediamenti non si concentra sull’offerta di un’istruzione adeguata, ma piuttosto sulla necessità di tenere i giovani impegnati e al sicuro,” ha commentato Nur Alam.

Informazioni sul rapporto Stepping Up: Refugee Education in Crisis

Stepping Up: Refugee Education in Crisis è il quarto rapporto annuale sull’istruzione dell’UNHCR. Il primo, Missing Out, è stato pubblicato nel 2016 in occasione del Vertice dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite su Rifugiati e Migranti, tenutosi nel settembre 2016. Tale rapporto sollecitava i donatori a fornire finanziamenti pluriennali e prevedibili a sostegno dell’istruzione dei rifugiati. Il secondo, Left Behind, è stato pubblicato nel 2017; ha messo in luce il divario tra le opportunità di cui beneficiano i bambini rifugiati e i loro coetanei non rifugiati e invitato a considerare l’istruzione come un elemento fondamentale per rispondere alle emergenze dei rifugiati. Il terzo, Turn the Tide, è stato pubblicato nel 2018 e sottolineava che, a fine anno, i bambini rifugiati che non frequentavano la scuola erano quattro milioni – un aumento di mezzo milione nell’arco di un solo anno.

Informazioni sull’UNHCR

L’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, guida l’azione internazionale volta alla protezione delle persone costrette a fuggire a causa di conflitti e persecuzioni. Fornisce assistenza salva-vita come alloggi, cibo e acqua, contribuisce a tutelare i diritti umani fondamentali e sviluppa soluzioni per garantire alle persone un luogo sicuro che possano chiamare casa e dove possano costruire un futuro migliore. Si adopera inoltre per garantire che le persone apolidi acquisiscano una cittadinanza.