Una famiglia siriana costretta a fuggire per la quinta volta
E’ la quinta volta che Mustafa è costretto a fuggire in Iraq dall’inizio della crisi siriana, ma dopo aver perso la casa e la sua attività nell’ultima ondata di violenza teme per il futuro della sua famiglia.
Di Charlie Dunmore nel campo di Bardarash, regione del Kurdistan iracheno | 09 gennaio 2020
Mustafa non è estraneo alla vita da rifugiato. Dall’inizio della crisi nel 2011, il 36enne di Ras al Ain, vicino al confine settentrionale della Siria con la Turchia, è fuggito con la sua famiglia nel vicino Iraq ben cinque volte, per tornare ogni volta quando la situazione si stabilizzava.
Ma stavolta, dopo essere scampato alle ultime violenze nella sua città natale ad ottobre, non è sicuro di quando – o se – torneranno a casa.
“Ogni volta che siamo fuggiti, sapevo che saremmo tornati presto. Saremmo rimasti in Iraq per tre o quattro mesi fino a quando la situazione non fosse migliorata, per poi tornare”, ha spiegato. “Ma questa volta non credo che sarà così facile. Abbiamo perso la nostra casa, i nostri mobili, la nostra merce, la nostra terra, la nostra auto. È una situazione molto difficile”.
Dall’inizio di ottobre, quando sono scoppiati i combattimenti nel nord-est della Siria, circa 19.300 persone hanno cercato rifugio nella regione del Kurdistan iracheno (KRI).
Mustafa si era preparato alla minaccia di nuovi combattimenti, ma è rimasto sorpreso dalla rapidità con cui la situazione si era deteriorata. “Abbiamo visto molte persone che fuggivano, così abbiamo pensato che doveva succedere qualcosa”, ha detto. “La gente intorno a noi ha ricevuto chiamate che dicevano che un attacco era imminente, ma i bombardamenti sono iniziati prima che potessimo fuggire”.
Ha portato sua moglie e cinque figli in un convoglio di auto insieme a quasi 50 membri della loro famiglia allargata e si è diretto alla vicina Tal Tamer. Temendo ulteriori attacchi, tuttavia, si sono diretti verso il confine iracheno in un viaggio di circa 200 chilometri, che è durato cinque giorni e ha lasciato i suoi figli terrorizzati.
“C’era il caos, le strade non erano sicure”, ha detto Mustafa. “L’esperienza ha influenzato lo stato mentale dei miei figli. Anche adesso, quando vedono un aereo civile volare sopra di loro, si spaventano”.
Dopo aver attraversato il KRI, la famiglia è stata portata al campo di Bardarash, che si trova tra le città di Duhok ed Erbil, la capitale della regione, che attualmente ospita più di 7.500 siriani.
“Siamo stufi”.
Come a tutti i nuovi arrivati, l’UNHCR – l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati – e i suoi partner hanno fornito anche a Mustafa e alla sua famiglia tende, materassi, coperte, tappeti e altri oggetti essenziali, tra cui set da cucina, stufe a cherosene e carburante. “Almeno siamo al sicuro, ma la situazione qui è ancora molto difficile”, ha detto Mustafa del campo.
“Mi sento triste e debole perchè sono costretto a lasciare la mia casa come se fossi un mendicante che deve chiedere aiuto agli altri”, ha detto. “Ho 36 anni, ma mi sento come se ne avessi 90. Siamo stufi”.
In Siria Mustafa vendeva motociclette, e nel campo ha cercato di fare quello che può per alleviare il suo senso di impotenza e per avere un reddito. Ha costruito un locale di fortuna e ha preso in prestito denaro dai suoi parenti per comprare la merce: così ha aperto un piccolo chiosco dietro la tenda della sua famiglia, dove vende generi alimentari di base, bibite e snack.
“Avere questo negozio mi fa sentire che almeno sto facendo qualcosa di utile per la mia famiglia”, ha spiegato. “Nonostante i profitti siano bassi, sono in grado di guadagnarmi da vivere”.
“I miei figli sono stanchi di questa vita”.
Mustafa ha espresso la sua preoccupazione per la prospettiva di trascorrere potenzialmente mesi a vivere in tenda, con pericoli come gli incendi e l’aspro clima invernale. Ma è l’impatto a lungo termine dei ripetuti spostamenti sulla sua famiglia, in particolare sui suoi figli, che gli causano la più grande angoscia.
“La mia priorità è quella di mantenere la mia famiglia, in modo che possa avere ciò di cui ha bisogno – vestiti a sufficienza, cibo e una buona istruzione per poter avere una vita migliore”, ha detto. “Il mio ruolo è quello di provvedere a loro, ma le nostre condizioni continuano a peggiorare ogni anno, e questa volta abbiamo perso tutto”.
“Mia figlia maggiore ha 14 anni, ma non sa ancora leggere bene perché la sua istruzione è stata interrotta così tante volte”, ha aggiunto. “I miei figli sono stufi di questa vita, e se non possono nemmeno andare a scuola, che futuro avranno?”.