Speranza e preoccupazione per il ritorno a casa dei rifugiati congolesi

L’UNHCR sta sostenendo migliaia di rifugiati congolesi a tornare a casa.

Di Alexandra Stenbock-Fermor e Lubiana Gosp-Server a Kananga, Repubblica Democratica del Congo | 06 febbraio 2020

Mentre il convoglio di quattro camion attraversa il fiume Lueta per raggiungere la città di Kananga, nella regione del Kasai della Repubblica Democratica del Congo (RDC), l’emozione è forte.

I genitori indicano l’acqua e i bambini guardano entusiasti. Molti non vedono la loro patria da anni. I più piccoli forse non l’hanno mai vista.

Circa 2.500 congolesi sono partiti dall’insediamento di rifugiati di Lóvua in Angola nell’ambito del rimpatrio volontario in corso nella regione del Kasai, organizzato dall’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, che porterà a casa circa 4.000 rifugiati.

“Sono contenta che il mio bambino nascerà a casa”, dice Ngalula Antho, giovane in dolce attesa in un’ambulanza messa a disposizione dall’UNHCR per i più vulnerabili.

Si tratta di un viaggio di 11 ore su strade accidentate e sconnesse e su sentieri sterrati che si trasformano in torrenti fangosi quando cadono le piogge stagionali.

Mamme e papà si sdraiano accanto ai loro figli su materassi di gommapiuma stesi sul retro dei camion per rendere il viaggio un po’ più confortevole. Ogni tanto, iniziano a cantare.

“Sono contenta che il mio bambino nascerà a casa”.

I camion arrivano al crepuscolo. Le famiglie sono felicissime di rivedersi.

“Questa è mia sorella maggiore e questo è mio cognato. Non li vedo da tre o quattro anni!”, Francine, 40 anni, racconta all’UNHCR mentre decine di altre famiglie si salutano allegramente alla stazione centrale di Kananga nel Kasai.

“Siamo molto felici di essere tornati a Kananga, la terra dei nostri antenati! Faremo tutto il possibile affinché i nostri figli possano andare a scuola”, dice un uomo che viaggia in convoglio con i suoi figli.

L’UNHCR fornisce assistenza immediata alle persone appena tornate a casa, esauste.

“Siamo felici che questi rifugiati siano riusciti a tornare a casa, dopo anni di esilio”, spiega il responsabile della protezione dell’UNHCR, Guening Massama. “Ora avranno bisogno di sostegno nelle loro aree di ritorno. Dobbiamo pensare a progetti di reinserimento, che coinvolgano anche gli sfollati e la popolazione locale per garantire che il loro ritorno sia duraturo”.

Kasai si sta lentamente riprendendo dai combattimenti del 2017 che hanno costretto circa 1,4 milioni di persone a lasciare le loro case. Oltre 35.000 rifugiati sono fuggiti in Angola.

Dall’agosto 2019, circa 14.500 persone sono tornate spontaneamente dall’insediamento di Lóvua, oltre a quelle rimpatriate volontariamente attraverso l’UNHCR.

Anche se l’UNHCR ha dato loro assistenza in contanti, li ha registrati e aiutati nel trasporto, dove possibile, molti si trovano ancora in condizioni estremamente difficili. Hanno camminato per giorni, dormendo ai bordi della strada e portando tutti i loro effetti personali. Alcune famiglie che sono tornate spontaneamente non sanno dove andare, o hanno paura di tornare a casa.

“Molte donne incinte, anziani e persone vulnerabili hanno iniziato a percorrere le strade per lasciare l’Angola”, ricorda Rose, 54 anni, che ha anche deciso di tornare con il marito e i figli prima che iniziassero i convogli organizzati.

“Quando siamo arrivati, siamo stati ospitati da famiglie e chiese. Alcune chiese ospitavano cinque famiglie, altre dieci”, aggiunge.

I ritorni organizzati sono iniziati nell’ottobre dell’anno scorso, a seguito di un accordo tripartito tra l’UNHCR e i governi dell’Angola e della RDC. L’UNHCR mira a completare l’esercizio nel primo trimestre del 2020, raggiungendo circa 19.000 rimpatriati.

Poche settimane dopo il loro ritorno, l’UNHCR ha visitato le famiglie a Tshikapa, una città del Kasai dove molti hanno scelto di tornare.

Essere a casa è un sollievo, ma anche con l’assistenza per coprire i loro bisogni primari, molti sono ancora in difficoltà.

Chadrack Neta vive in una casa in affitto con quattro dei suoi figli; una delle sue figlie è scomparsa durante il conflitto. Ha anche perso la sua fattoria e le sue proprietà quando sono fuggiti dal Kasai. Un’altra figlia ora cammina con le stampelle dopo essere stata aggredita da uomini armati e sua moglie è stata colpita da un proiettile e ha ancora bisogno di assistenza medica.

“Prima della guerra, possedevo una fattoria… non so come potrò mai riaverla indietro”.

“Prima della guerra, possedevo una fattoria dove avevo maiali, polli, pecore e molte altre cose”, dice Chadrack. “Avevo anche un allevamento di pesci. Una volta ho ricevuto una chiamata che diceva che la mia fattoria era stata data a qualcun altro. Non so come potrò mai riaverla indietro”.

Aggiunge che quando la famiglia è tornata, ha ricevuto dei soldi dall’UNHCR che ha usato per pagare le tasse scolastiche per i suoi figli.

“Ma è troppo poco per comprare scarpe, vestiti o uniformi scolastiche”, spiega. “Ho una figlia disabile – come posso comprare delle stampelle? Qui sono costose. Mia moglie ha una pallottola in corpo e ha bisogno di un intervento chirurgico, di raggi X e di esami medici. È costoso”.

Assiya, tornata a Tshikapa con suo marito Moussa e i loro tre figli, aggiunge che l’assistenza in contanti non è sufficiente.

“Abbiamo pagato quattro mesi di affitto in anticipo con i soldi che ci sono stati dati”, dice. “Ci chiediamo cosa faremo dopo, visto che siamo in affitto e i nostri soldi stanno finendo”.

Migliaia di rimpatriati sono alla ricerca di soluzioni durature che li aiutino a ricominciare la loro vita.

La RDC ha bisogno di maggiori investimenti e sostegno per migliorare le infrastrutture pubbliche come scuole, centri sanitari e servizi sociali, che a loro volta garantiranno un ritorno sicuro e dignitoso ai rifugiati congolesi che scelgono di tornare a casa.