Lo sport dona alle ragazze rifugiate in Giordania una nuova sicurezza in sé stesse
Reclaim Childhood promuove le capacità di leadership delle ragazze rifugiate e la loro interazione con le comunità locali attraverso lo sport.
Quando è arrivata in Giordania come rifugiata dal Sudan cinque anni fa, Waed era terribilmente timida, al punto da riuscire a parlare solo con persone della sua famiglia. Ora corre sul campo da basket, passa dei lanci e urla incoraggiamenti alle sue compagne di squadra, e ci dice che è irriconoscibile rispetto alla ragazza che era una volta.
“Ora parlo con le persone e interagisco molto con loro”, ha detto Waed, 15 anni. “Mi sento un’allenatrice e una leader per la mia squadra, e sono davvero entusiasta. La mattina mi sveglio sempre entusiasta all’idea che verrò a giocare a basket e a liberare la mia energia attraverso lo sport”.
Waed attribuisce la sua trasformazione a Reclaim Childhood, un programma sportivo senza scopo di lucro per ragazze rifugiate e giordane. Gli obiettivi del programma sono tre: fornire uno spazio sicuro alle ragazze per giocare, collegare rifugiati e comunità locali che potrebbero non interagire altrimenti, e dare potere alle donne e alle ragazze attraverso la partecipazione allo sport.
” La mattina mi sveglio sempre entusiasta all’idea che verrò a giocare a basket”.
Reclaim Childhood è uno dei quattro finalisti regionali al Premio Nansen per i Rifugiati dell’UNHCR di quest’anno, rappresentando la regione del Medio Oriente e del Nord Africa. Fin dalla sua istituzione nel 1954, il premio ha riconosciuto individui e organizzazioni per il lavoro eccezionale svolto per le persone rifugiate, sfollate o apolidi.
Ogni anno, Reclaim Childhood lavora con circa 500 ragazze di età compresa tra gli 8 e i 18 anni, tra cui ci sono sia rifugiate provenienti da Siria, Palestina, Iraq, Sudan e Somalia, che ragazze giordane locali. Nei due centri nella capitale, Amman, e nel vicino distretto di Zarqa, il programma offre corsi di doposcuola e campi estivi con una vasta gamma di sport e attività, tra cui lezioni di basket, calcio e Zumba.
La Giordania ospita circa 750.000 rifugiati attualmente registrati presso l’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Oltre l’80% di loro vive in aree urbane. La stragrande maggioranza proviene dal conflitto siriano, ma ci sono anche popolazioni significative da Iraq, Yemen, Somalia e Sudan.
Oltre a dirigere programmi di leadership per le ragazze rifugiate, Reclaim Childhood le impiega anche come staff. Molte delle donne che gestiscono i corsi sono esse stesse rifugiate, che prima di essere coinvolte nel programma avevano poca o nessuna esperienza di sport o di coaching.
L’allenatrice di Amman, Reem Neyaz, è arrivata in Giordania nel 2013 dopo essere fuggita dal conflitto in Siria, e non aveva mai lavorato fuori casa fino a quando non è stato coinvolta nel programma due anni fa. Dice che l’esperienza ha cambiato la sua personalità e il suo modo di vedere le cose.
“Il programma mi ha insegnato ad essere forte e sicura di me, e come rifugiata ne ho bisogno perché quando tornerò in Siria dovrò ricominciare”, ha detto. “Io e queste ragazze siamo uguali. Abbiamo avuto la stessa tragedia, e insieme ci stiamo muovendo passo dopo passo. Mi sento molto meglio ora e questo mi dà speranza”.
“Il programma mi ha insegnato ad essere forte e sicura di me”.
La direttrice del programma Reclaim Childhood in Giordania, Jessie Wyatt, dice che Reem e le altre allenatrici sono al centro del loro approccio. Oltre a gestire le attività sportive quotidiane, le allenatrici incoraggiano anche le ragazze delle comunità locali a partecipare e forniscono un collegamento tra i genitori e il programma.
“I genitori in realtà sono in stretto contatto con le allenatrici”, ha spiegato. “I coach fanno visite a domicilio e conoscono le famiglie, non solo perché le ragazze possano venire al programma, ma per aiutarle nelle loro vite esterne, aiutandole a prendere contatto con altre organizzazioni”.
“Vediamo una differenza tangibile da quando le ragazze arrivano ai centri rispetto a quando hanno già un percorso avviato”, ha aggiunto Wyatt. “Alla fine si considerano leader, sono disposte a parlare di fronte a gruppi, a prendere delle responsabilità e a presentare le proprie opinioni. I nostri coach meritano un riconoscimento per tutto il duro lavoro che fanno per dare alle ragazze uno spazio sicuro in cui giocare”.
Prima di tornare in campo per continuare a giocare, Waed dice che Reclaim Childhood l’ha fatta sentire parte di una famiglia più ampia, mentre la sua nuova positività ha avuto anche un impatto sulle sue relazioni con i fratelli.
“A casa, mia madre pensa che sto aiutando i miei fratelli e le mie sorelle a rimanere sulla giusta strada”, ha detto. “Non mi hanno mai ascoltato prima, ma ora fanno qualsiasi cosa io dica loro di fare”.