L’UNHCR è preoccupato per l’alto numero di persone che hanno perso la vita nei primi 5 mesi del 2016 tra le 204.000 persone che hanno attraversato il Mediterraneo 

Pubblicato il 31 maggio 2016 alle 3:01

Nei numerosi naufragi avvenuti la settimana scorsa nel Mediterraneo si teme che abbiano perso la vita almeno 880 persone, secondo le ultime informazioni che abbiamo raccolto in Italia dai colloqui con i sopravvissuti.

Oltre ai tre naufragi a noi noti fino a questa domenica, abbiamo avuto notizia dalle persone che sono arrivate ad Augusta in questo fine settimana, che altre 47 persone risultano disperse dopo che un’imbarcazione gonfiabile, partito dalla Libia con a bordo 125 persone, si è sgonfiata. Altre persone hanno riferito della scomparsa in mare di ulteriori 8 persone che si trovavano su un’altra imbarcazione, e sono stati inoltre segnalati 4 morti a causa di un incendio divampato su ancora un’altra barca.

Fin ad ora, il 2016 si sta rivelando un anno particolarmente mortale, con circa 2.510 vittime. Nel 2015, nello stesso periodo, 1.855 persone avevano perso la vita, e 57 nei primi cinque mesi del 2014. In tutto il Mediterraneo, la probabilità di essere tra coloro che muoiono durante la traversata è di uno ogni 81 persone. Questo numero evidenzia l’importanza delle operazioni di soccorso come parte della risposta ai flussi di rifugiati e migranti nel Mediterraneo, ed il bisogno di alternative reali e sicure per le persone che hanno bisogno di protezione internazionale.

Fino ad ora quest’anno, 203.981 persone hanno intrapreso questo viaggio. Quasi tre quarti di queste persone si sono spostate dalla Turchia alla Grecia prima della fine di marzo. Circa 46.714 si sono dirette verso l’Italia, un numero quasi pari al numero registrato su questa rotta nei primi cinque mesi del 2015 (47.463). La rotta Nord Africa-Italia è  tremendamente molto più pericolosa: 2.119 delle morti riportate fino ad ora quest’anno sono avvenute lungo questa rotta, che segna quindi un tasso di mortalità di ben 1 su 23 persone.

L’UNHCR sta cercando di individuare le possibili motivazioni e le dinamiche dietro a questi movimenti. Secondo le informazioni raccolte, al momento si ritiene che la maggior parte delle imbarcazioni provenienti dalla Libia sia partita dall’area di Sabratah, ad ovest di Tripoli. Come in passato, queste imbarcazioni sono più affollate rispetto a quelle che normalmente si muovono lungo la rotta tra la Turchia e la Grecia, hanno a bordo anche 600 persone o più, a volte trainati da pescherecci di dimensioni maggiori, cosa che rappresenta un ulteriore rischio. Stando ad alcune fonti non ancora confermate, il recente aumento dei numeri di arrivi è da collegarsi agli sforzi degli scafisti di massimizzare i loro ricavi prima dell’inizio del mese santo del Ramadan, la settimana prossima.

Secondo quanto riportato dai sopravvissuti, centri per il traffico di persone sono attivi in vari luoghi lungo la rotta, tra cui il Niger, e continuano ad inviare persone dall’Africa dell’ovest verso la Libia, dove molte di queste rimangono per diversi mesi prima di essere imbarcate per la traversata verso l’Europa. Sono molti i racconti dei traumi subiti a causa della violenza sessuale e di genere dalle donne che compiono il viaggio – o sono trafficate. Alcune ci hanno raccontato di essere state ridotte in schiavitù sessuale in Libia. È da segnalarsi anche un aumento negli arrivi di minori non accompagnati.

Al momento, l’UNHCR non ha riscontrato evidenze di un cambio di rotta significativo da parte di siriani, afghani o iracheni dalla rotta turco-greca a quella del Mediterraneo centrale. Le principali nazionalità sulla rotta tra la Libia e l’Italia fino ad ora quest’anno sono quella nigeriana e gambiana, mentre tra i paesi più comunemente associati con i movimenti di rifugiati, il 9% sono somali e l’8% eritrei.