Le sue bruciature: un ricordo dell’incubo del viaggio per la salvezza

Dopo che la loro bambina è sopravvissuta alle terribili ustioni provocate dall’esplosione di una bombola del gas in Libia, la famiglia trova rifugio e una nuova vita in Belgio.

È passato più di un anno da quando Rahel con la sua bambina avvolta in fasce, gravemente ustionata a causa di un incidente avvenuto solo pochi giorni prima, è salita a bordo di un’imbarcazione partita dalla costa libica e diretta in Italia.

Insieme a molti dei suoi 70 compagni di viaggio, rifugiati e migranti, la bambina di 15 mesi era stata ferita quando una bombola a gas esplose nella zona cucina, nel luogo dove erano trattenuti dai trafficanti, in attesa che organizzassero la loro partenza per l’Europa. Diverse persone sono state uccise dall’esplosione e dall’incendio che ne seguì.

Rahel sapeva che se fossero andate in ospedale sarebbero state arrestate dalle autorità libiche. Dopo un’angosciosa attesa di qualche giorno, finalmente riuscirono ad imbarcarsi.

Rahel, 26 anni, eritrea, guarda le fotografie di sua figlia Dina sul telefonino che ha con sé dall’incidente del mese di aprile 2015, e scoppia in lacrime.

“Ho visto le fiamme, mi sono precipitata fuori e ho visto Dina bruciata qui, qui e qui”, racconta indicando le gambe, il viso e le braccia di sua figlia. Dina ha subìto ustioni di terzo grado sull’80 per cento del suo corpo, compreso il viso.

Ho visto le fiamme, mi sono precipitata fuori e ho visto Dina bruciata

Azoz compagno di Rahel, 28 anni, proviene dallo stesso Paese del Corno d’Africa, ed è molto scosso mentre guarda le foto per la prima volta dopo l’incidente.

La guardia costiera italiana ha intercettato l’imbarcazione su cui Rahel e Dina viaggiavano verso la mezzanotte del 17 aprile 2015. Hanno trasportato i rifugiati verso l’isola di Lampedusa. Molte persone a bordo riportavano gravi ustioni a causa di quella tremenda esplosione.

Nel momento in cui è avvenuto l’incidente Rahel era in casa, mentre Dina era all’esterno, dove si stava cucinando.

Il giorno del mio arrivo in Italia, impazzivo dalla gioia. Quando l’italiano [guardia costiera] ci ha salvato, mi sono sentita felice. Ho pensato: ‘È finita, ce l’abbiamo fatta’. Ma ero preoccupata per la mia bambina – morirà o guarirà? Pensavo solo a lei”.

In Italia Dina è stata subito ricoverata, ha ricevuto cure immediate per le ustioni ed è stata poi seguita in Belgio. Le cicatrici sul viso sono andate via, sulle gambe e sulle braccia è rimasto un segno come di pelle schiarita, che i medici dicono guarirà con il tempo.

Azoz ricorda il giorno in cui è nata Dina in Sudan nel dicembre 2013, come un giorno molto felice. La coppia aveva lasciato l’Eritrea per andare in Sudan con l’obiettivo finale di raggiungere l’Europa. Azoz ha dovuto lasciare Rahel e la bambina Dina, sperando da solo di poter raggiungere prima l’Europa e poi avviare lì una nuova vita in attesa dell’arrivo di Rahel e della loro bambina appena nata.
Sono arrivati in Libia in macchina, con l’aiuto di trafficanti.

Rahel ha provato a chiedere il visto d’ingresso per il Regno Unito, dove vive la sorella, ma non glielo hanno concesso. Ha quindi chiesto asilo in Belgio, dove ha un cugino. In Belgio hanno ottenuto lo status di rifugiato.

Vivono in un monolocale al piano terra in un quartiere tipico di Anversa, dove Dina, che ha ormai quasi 3 anni, frequenta la scuola materna. I suoi genitori frequentano un corso di lingua dall’altra parte della città, ci mettono un’ora per raggiungere la scuola.

Arrivato in Belgio da più tempo, Azoz conosce meglio l’olandese, ma Rahel lo capisce abbastanza da seguire le notizie in televisione.

Azoz, di solito, va a prendere Dina alla scuola materna e passa molto del suo tempo libero a giocare con lei, portandola spesso al parco. Quando ha ricevuto la chiamata dall’Italia, temeva che non avrebbe mai più rivisto sua figlia. “Non pensavo che Dina sarebbe sopravvissuta. Ma quando l’ho vista qui in Belgio sono stato molto, molto felice.”

I ricordi di casa non sono mai lontani. Suonano musica africana, cucinano piatti tradizionali per cena e nell’appartamento aleggia l’odore dei chicchi di caffè tostati e infusi con spezie.
Mentre il caffè è in infusione in una pentola di terracotta, Rahel fa un salto non appena il piano cottura a gas si accende. “Vedo i volti delle persone che sono morte e non riesco a dormire,” ha detto.

Tre persone sono morte dopo aver raggiunto l’Italia a causa delle lesioni subite nell’incendio. Rahel racconta di aver contato almeno otto morti sul posto dell’esplosione in Libia. Una donna gravemente ustionata si è suicidata pochi mesi dopo essere arrivata nei Paesi Bassi, ha aggiunto.

Vedo i volti delle persone che sono morte e non riesco a dormire

Le cicatrici di Dina sono un ricordo costante di una seconda possibilità di vita che è stata data a sua figlia. “Voglio che Dina completi la sua istruzione, voglio che stia bene per il resto della vita, voglio che sia felice.”

La bambina sembra essersi già ambientata in Belgio. Ha nuovi amici a scuola e comunica con loro agevolmente in olandese.

Per i suoi genitori è più difficile integrarsi. Oltre al clima umido, la vita in Belgio presenta delle sfide. La metà del contributo finanziario che ricevono dal governo serve a pagare l’affitto, con il resto coprono le spese per vivere e per i trasporti.

Tuttavia, Rahel e Azoz cercano di concentrarsi sulle cose più felici. Non sono ancora sposati e sperano di farlo presto, appena potranno permetterselo. Sono impegnati ad imparare la lingua e sperano di trovare lavoro. Non importa che tipo di lavoro abbia già fatto dice Rahel, mentre Azoz ha un colloquio per un lavoro come imbianchino.

“Se non lavori non hai niente”, ha detto Rahel. “Se non lavori non ti senti una persona normale, quando rimani a casa finisci per deprimerti. Per impazzire”.