Secondo anniversario di #IBelong, la campagna lanciata dall’UNHCR per porre fine all’apolidia nel mondo

Pubblicato il 27 ottobre 2016 alle 2:40

Notevoli progressi sono stati compiuti per porre fine all’apolidia nel mondo, ma i conflitti attualmente in corso li stanno mettendo a rischio. In occasione del secondo anniversario della Campagna globale #IBelong, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi, ha rinnovato l’appello alla comunità internazionale affinché compia uno sforzo congiunto per porre fine all’apolidia – un’ingiustizia che lede i diritti umani di almeno 10 milioni di persone nel mondo.

Da quando la campagna è stata lanciata nel 2014 con l’obiettivo di risolvere il problema dell’apolidia entro il 2024, dieci nuovi Stati hanno aderito alle Convenzioni delle Nazioni Unite contenenti misure per aiutare a prevenire e ridurre i casi di apolidia e Paesi come la Costa d’Avorio, il Kirghizistan, la Malesia e la Tailandia hanno fatto significativi passi avanti nei rispettivi territori. La Tailandia, ad esempio, ha riconosciuto la nazionalità tailandese a circa 23.000 persone che negli ultimi tre anni e mezzo avevano vissuto come apolidi.

Il governo keniota ha recentemente promesso di concedere la cittadinanza ai Makonde, una minoranza etnica di circa 6.000 persone originarie del Mozambico, molte delle quali vivono in Kenya da quando lo Stato ha ottenuto l’indipendenza più di mezzo secolo fa.

Durante la manifestazione che si è svolta oggi presso la sede dell’UNHCR a Ginevra, l’Alto Commissario Grandi ha anche evidenziato lo stretto legame esistente tra la rapida espansione dei conflitti e il rischio di apolidia, soprattutto per i bambini. Il rapporto pubblicato dall’UNHCR dal titolo “In Search of Solutions: Addressing Statelessness in the Middle East and North Africa” (“Alla ricerca di soluzioni: affrontare l’apolidia in Medio Oriente e in Nord Africa”) pone in evidenza come i bambini siriani siano particolarmente a rischio. La legge siriana nega infatti alle donne il diritto di trasferire la propria cittadinanza ai figli e, dal momento che in una famiglia su quattro di rifugiati siriani non è presente il padre, questo significa che per alcuni dei 709.000 bambini nati in esilio durante la guerra esiste il rischio concreto di diventare apolide. L’Alto Commissario delle Nazioni Unite ha ricordato che l’apolidia porta con se’ una serie di gravi conseguenze soprattutto per i minori.

“Invisibile è il termine più comunemente usato per descrivere cosa si prova a vivere senza nazionalità,” ha affermato Grandi. “Per i bambini e i giovani che vivono in situazioni di apolidia, essere ‘invisibili’ significa dover rinunciare a un’istruzione, essere emarginati nel parco giochi, non poter ricevere cure mediche, essere privi di opportunità di lavoro e non poter far sentire la propria voce.”

Tra gli obiettivi chiave che la campagna #IBelong si propone di raggiungere il prossimo anno c’è quello di incoraggiare gli Stati a eliminare ogni forma di discriminazione, compresa la discriminazione di genere, dalle leggi sulla cittadinanza, per evitare che situazioni analoghe si verifichino ancora in futuro.

Per saperne di più sulle attività che l’UNHCR porta avanti per porre fine all’apolidia nel mondo vai sul sito UNHCR/#IBelong.