Una giornata con Grace Aleng Campo di Doro, Sud Sudan

Grace Aleng lavora come Community Service Associate per l’UNHCR in Sud Sudan. Si occupa dei rifugiati di quest’area dal 2011, quando l’UNHCR non aveva nemmeno un ufficio e si lavorava sotto gli alberi o teloni di plastica.
Oggi gli uffici sono 11 e 367 sono gli operatori dell’UNHCR che, nel paese, forniscono protezione e supporto a circa 272.000 rifugiati.

Grace, lei stessa rifugiata in passato, è molto orgogliosa del suo lavoro.
Questo il racconto di una sua giornata.

 

Ore 9:00 – L’aria è pesante e il termometro fuori segna 31 gradi. Sono in ufficio da circa un’ora e adesso devo andare al campo rifugiati di Doro, dove trascorro gran parte della mia giornata. Lavoro come Community Service Associate per l’UNHCR, quindi devo stare nel campo più tempo possibile per fornire informazioni ai rifugiati e trovare soluzioni ai problemi che si presentano.

Se non posso aiutarli, li metto in contatto con le organizzazioni partner o con altri colleghi, come i Protection officer, per i casi piu’ delicati che coinvolgono minori non accompagnati o separati dalle loro famiglie.

Ore 9:30 – Arriviamo al campo di Doro. Qui vivono oltre 51.000 persone, tutte fuggite dal conflitto nel vicino Sudan. Questo è uno dei quattro campi che garantiscono alloggio a più di 134.000 rifugiati a Maban, la provincia in cui lavoro.

Ogni mattina, accolgo rifugiati nel mio “ufficio” – un container condiviso con altre persone, all’entrata del campo – e cerco di aiutarli come posso. Mi occupo dei bambini, delle vittime di violenza di genere o sessuale, di gruppi vulnerabili quali rifugiati anziani, vedove, madri sole o persone con disabilità.

Grace Aleng interagisce con alcune donne del campo di Doro, Sud Sudan © UNHCR/Eujin Byun

Grace Aleng interagisce con alcune donne del campo di Doro, Sud Sudan © UNHCR/Eujin Byun

Molto è cambiato da quando, nel 2011, è iniziato il flusso di rifugiati dal Sudan. All’inizio dell’operazione non è stato semplice: l’UNHCR non aveva un ufficio fisso, si lavorava all’aperto, sotto gli alberi o teloni di plastica. Eravamo in 36, dormivamo nelle tende. C’era un solo bagno per uomini e donne.

All’inizio dell’operazione non è stato semplice. Si lavorava all’aperto, sotto gli alberi o teloni di plastica, dormivamo nelle tende.

Tutte le mattine, alle 6.00, andavamo al confine per accogliere i rifugiati e rientravamo verso le 8 o le 9 di sera.
Erano circa 1000 le persone che, ogni giorno, fuggivano attraverso la frontiera, arrivavano malnutrite e assetate. Oggi, arrivano circa 100 – 200 rifugiati al mese.

Allora, l’UNHCR era una delle poche organizzazioni sul campo. Ora, lavoriamo e viviamo in container o case e almeno abbiamo un po’ di privacy.

Sono felice di far parte del team UNHCR in Sud Sudan. La nostra operazione è molto dinamica, molto difficile. Mi ha fatto crescere. Si deve lavorare sodo perché le cose possano un giorno cambiare. 

Sono orgogliosa di lavorare per i rifugiati perché anche io lo sono stata. L’UNHCR mi ha aiutato e ora sono felice di lavorare per persone che hanno sofferto come me.
Nel 1994, avevo 7 anni, ho lasciato il Sud Sudan per andare in Uganda con mia madre, mio padre e mio fratello maggiore. Ci siamo rimasti fino al 2008, quando siamo stati rimpatriati. L’UNHCR ha sostenuto la mia istruzione e senza il suo aiuto non sarei la persona che sono oggi.

Sono orgogliosa di lavorare per i rifugiati perché anche io lo sono stata. L’UNHCR mi ha aiutato e ora sono felice di lavorare per persone che hanno sofferto come me.

Ore 12:00 – Prendo la mia penna e il mio quaderno e vado negli alloggi dei rifugiati più vulnerabili, quelli che non possono camminare o venire nel mio ufficio. Questo è importante affinché ognuno possa avere l’aiuto a cui ha diritto.

Mi accerto che abbiano un alloggio, vestiti, coperte e altri beni vitali. Li metto in contatto con servizi di supporto medico e psicologico, come nel caso di chi ha subito violenza sessuale o di genere.

Grace Aleng distribuisce teli di plastica nel campo rifugiati di Doro © UNHCR/Eujin Byun

Grace Aleng distribuisce teli di plastica nel campo rifugiati di Doro © UNHCR/Eujin Byun

Bisogna spiegare ogni singola cosa perché per molti è la prima esperienza in un campo. I rifugiati sudanesi che sono qui, sono già stati emarginati nel loro paese. Non hanno nulla. Hanno frequentato poco o per niente la scuola.

Gli dico che hanno gli stessi diritti, soprattutto alle giovani donne. Una nazione non può progredire senza il contributo delle donne. Senza donne, si resta immobili. Ai loro occhi siamo una seconda possibilità e per questo dobbiamo dimostrargli che facciamo del nostro meglio.

Ore 14:00 Due volte al mese partecipo agli incontri dei giovani del campo, per parlare delle loro difficoltà e capire come lavorare insieme. Questo rientra nel lavoro di protezione dell’UNHCR: organizziamo strutture all’interno delle comunità quali i gruppi di donne, di giovani, come i network per la protezione dei bambini e gruppi di leader delle comunità. Questo lavoro con i rifugiati ti consente di vedere quanto siano autonomi. Si impara tanto da questo confronto e ciò mi gratifica particolarmente, ogni giorno apprendo cose nuove.

In questo momento l’UNHCR fornisce esclusivamente l’istruzione primaria nel campo di Doro, a causa soprattutto della mancanza di fondi. Stiamo cercando di aprire una scuola secondaria nel campo di Batil – il secondo più grande dopo Doro – ma è troppo lontano per gli studenti. Sarebbe necessario averla qui, nel campo di Doro.

Due mesi fa ho incontrato una ragazza di 15 anni, arrivata da sola e che ora vive con uno zio. Come la gran parte dei giovani, vuole tornare a scuola.

La parte più difficile del mio lavoro è quando non ho soluzione ai problemi che mi raccontano.

Un’altra sfida in quest’area è dare la possibilità ai rifugiati di essere autosufficienti. Cerchiamo di capire i loro bisogni e di proporre soluzioni. Ad esempio, far arrivare aiuti in Sud Sudan è difficile – spesso non ci sono strade e tutto deve essere trasportato in aereo – per cui stiamo distribuendo semi affinché possano coltivare grano e verdure.

Nel campo di Doro, i rifugiati usano quel poco di terra libera intorno ai loro ripari per coltivarla.

Il Sud Sudan è una nazione di recente formazione. La popolazione in esilio cerca di tornare ma il governo, ancora giovane, ha capacità limitate di accoglierle, così dobbiamo fare affidamento sui nostri donatori.

Ore 16:00 – Torno in ufficio e raccolgono le mie cose. È arrivato il momento di lasciare il campo, per oggi. Però il mio telefono è sempre accesso. Qualche volta di notte, quando i rifugiati hanno dei problemi mi chiamano.

Lavorare per i rifugiati è dare noi stessi per loro.

 

 

 

La situazione in Sud Sudan

Da giugno, in Sud Sudan ci sono oltre 272.000 rifugiati, in gran parte concentrati negli stati settentrionali – Upper Nile e Unity – al confine con il Sudan.  Oltre il 90% dei rifugiati è composto da sudanesi, mentre altri provengono dalla Repubblica Democratica del Congo, Etiopia e Repubblica Centrafricana.

L’UNHCR, insieme alle altre agenzie, assiste quasi 1.7 milioni di sud sudanesi costretti ad abbandonare le loro case a causa del conflitto e dell’instabilità. Oggi, circa un sud sudanese su quattro è sfollato oppure è fuggito in un paese confinante; la maggior parte sono bambini. Nonostante il Sud Sudan sia arrivato al quinto anno di indipendenza, in diverse aree del paese la violenza imperversa obbligando la popolazione a fuggire.

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