ETIOPIA: RAFFORZAMENTO DELLE MISURE PER CONTENERE L’EPATITE E TRA I RIFUGIATI SUD SUDANESI

Pubblicato il 08 agosto 2014 alle 2:00

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L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) si è mosso con rapidità in collaborazione con il governo etiope, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), i rifugiati stessi e altri partner per contenere la malattia, azione che ha portato a un calo delle infezioni, anche se, purtroppo, dall’aprile scorso, si sono registrati 13 decessi.

L’epatite E è causata da un virus e si diffonde principalmente attraverso il consumo di acqua e cibo contaminati. Per questo motivo, l’UNCHR si è adoperato per migliorare le strutture igienico-sanitarie nei campi e incrementare la quantità e la disponibilità di acqua potabile.

Il messaggio chiave che viene rivolto ai rifugiati è semplicemente quello di tenere le mani pulite. La sezione francese di Medici Senza Frontiere ha distribuito all’interno dei campi 80mila saponette donate dall’UNICEF per favorire una migliore igiene. Viene inoltre detto ai rifugiati di non defecare all’aperto e di non lasciare che lo facciano gli animali vicino alle loro case e si stanno costruendo altre latrine.

Poiché i rifugiati conoscono l’epatite E come “Occhi gialli” viene diffuso il messaggio: “Se avete gli occhi gialli, recatevi in clinica”. Ricevere un trattamento medico tempestivo è fondamentale.

Dal mese di aprile, ci sono stati 367 casi di epatite E nei campi di Leichuor, Kule e Tierkidi, tutti situati nella regione di Gambella dell’Etiopia occidentale, al confine con il Sud Sudan. I laboratori di Addis Abeba e Nairobi hanno confermato che il virus è legato allo scoppio dell’epatite E riportato nel vicino Sud Sudan. Altri sei casi sono stati segnalati nelle comunità ospitanti di Itang e Nyin-yan.

 

L’epatite E colpisce in maniera più grave persone di età compresa tra i 15 e i 40 anni. I rifugiati affetti da epatite E nei tre campi sono per lo più giovani di età compresa tra i 12 e i 40 anni. La malattia è particolarmente pericolosa per le donne in gravidanza, con un rischio di decesso che si aggira tra il 20 e il 25 per cento. Tra i 13 rifugiati morti vi era proprio una donna incinta.

In Etiopia vivono 247.554 rifugiati sud sudanesi, compresi gli oltre 185mila fuggiti dagli scontri scoppiati a metà dicembre dello scorso anno.

In altri paesi africani confinanti che ospitano rifugiati sud sudanesi, il personale medico sta controllando tutti i rifugiati in arrivo per verificare se siano o siano stati malati.

Se necessario, i rifugiati vengono ulteriormente esaminati per valutare se abbiano contratto l’epatite E o il colera, altra infezione che ha investito il Sud Sudan dal 15 maggio. L’UNHCR e i suoi partner hanno inoltre provveduto, in via cautelativa, a fare scorta di medicinali, forniture mediche e prodotti per il trattamento delle acque.