“Rifugiati” e “Migranti” (FAQs)
Pubblicato il 21 marzo 2016 alle 8:00
1. I termini “rifugiato” e “migrante” sono intercambiabili?
No. Nonostante stia diventando sempre più comune vedere i termini “rifugiato” e “migrante” usati in modo intercambiabile nei media e nei dibattiti pubblici, vi è tra i due una differenza fondamentale dal punto di vista legale. Confonderli può avere conseguenze importanti per rifugiati e richiedenti asilo, così come generare fraintendimenti nel dibattito sull’asilo e la migrazione.
2. Cosa contraddistingue i rifugiati?
Con il termine rifugiato ci si riferisce ad una precisa definizione legale e a specifiche misure di protezione stabilite dal diritto internazionale. I rifugiati sono persone che si trovano al di fuori del loro paese di origine a causa di persecuzioni, conflitti, violenze o altre circostanze che minacciano l’ordine pubblico, e che, di conseguenza, hanno bisogno di “protezione internazionale.” La loro situazione è spesso talmente rischiosa e intollerabile che attraversano i confini nazionali in cerca di sicurezza nei paesi limitrofi, e diventano quindi internazionalmente riconosciuti come “rifugiati,” ossia come persone bisognose di assistenza da parte degli Stati, dell’UNHCR e delle organizzazione competenti. Il loro riconoscimento è così precisamente definito in quanto è troppo pericoloso per loro tornare a casa, e hanno quindi bisogno di protezione altrove. Sono persone per le quali il rifiuto della domanda di asilo ha conseguenze potenzialmente mortali.
3. Come sono protetti i rifugiati nel quadro del diritto internazionale?
Il regime giuridico specifico che tutela i diritti dei rifugiati è denominato “protezione internazionale per i rifugiati.” Il fondamento alla base del bisogno di questo regime è che i rifugiati sono persone in una situazione specifica, che richiede misure di tutela supplementari, in quanto i richiedenti asilo e i rifugiati sono privi della protezione del loro paese.
L’articolo 14 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo afferma il diritto di ciascun individuo di chiedere e beneficiare dell’asilo. Tuttavia, un contenuto chiaro alla nozione di asilo non era stato dato a livello internazionale fino all’adozione della Convenzione del 1951 relativa allo Status dei Rifugiati [“Convenzione di Ginevra del 1951”], e l’UNHCR fu incaricato di supervisionarne l’implementazione. La Convenzione di Ginevra del 1951 e il relativo Protocollo del 1967, così come altri strumenti legali regionali, quali ad esempio la Convenzione del 1969 dell’Organizzazione dell’Unità Africana (OUA) che disciplina gli aspetti specifici dei problemi dei rifugiati in Africa, costituiscono le fondamenta del moderno regime di protezione dei rifugiati. Stabiliscono una definizione universale di rifugiato ed enucleano i diritti e i doveri fondamentali dei rifugiati.
Le norme contenute nella Convenzione di Ginevra del 1951 rimangono il principale standard internazionale con il quale si valuta qualsiasi misura di protezione e di trattamento dei rifugiati. La disposizione più importante ivi contenuta, il principio di non-refoulement (letteralmente, non respingimento) di cui all’Articolo 33, è la colonna portante di questo sistema. Secondo tale principio, i rifugiati non possono essere espulsi o rimpatriati verso situazioni dove la loro vita o la loro libertà potrebbero essere a rischio. Gli Stati hanno la responsabilità primaria di fornire questa protezione. L’UNHCR lavora a stretto contatto con i governi, fornendo consulenza e supporto laddove necessario, nell’implementare le loro responsabilità.
4. La Convenzione 1951 deve essere rivista?
La Convenzione di Ginevra del 1951 e il relativo Protocollo del 1967 hanno contribuito a salvare milioni di vite e pertanto si può dire che rappresentino oggi uno degli strumenti chiave per la difesa dei diritti umani. Elaborata nel contesto di massicci movimenti di popolazione, di entità superiore rispetto a quella degli spostamenti a cui assistiamo ora, la Convenzione di Ginevra del 1951 è un traguardo fondamentale per l’umanità. La Convenzione di Ginevra del 1951 racchiude valori umanitari fondamentali. Essa ha chiaramente dimostrato la sua capacità di adattarsi ai cambiamenti, venendo riconosciuta dai tribunali come uno strumento vivo, capace di garantire protezione ai rifugiati anche in contesti in continua evoluzione. La sfida maggiore in termini di protezione dei rifugiati non è certamente quella della Convenzione di Ginevra del 1951 in sé, ma piuttosto quella di assicurare che gli Stati la applichino in modo efficace, con spirito di cooperazione internazionale e di condivisone delle responsabilità.
5. Può la parola “migrante’’ essere utilizzata come termine generico che comprende anche i rifugiati?
Non esiste a livello internazionale una definizione giuridica uniforme per il termine “migrante.” Alcuni attori politici, organizzazioni internazionali e media interpretano ed utilizzano la parola ‘’migrante’’ come un termine generico che comprende migranti e rifugiati. Per esempio, le statistiche globali sulla migrazione internazionale sono solite utilizzare una definizione di ‘’migrazione internazionale’’ che include anche molti degli spostamenti di rifugiati e richiedenti asilo.
Tuttavia, nel dibattito pubblico, quest’uso può facilmente generare confusione e può avere gravi conseguenze per la vita e la sicurezza dei rifugiati. La parola ‘migrazione’ implica spesso un processo volontario, come, per esempio, quello di chi attraversa una frontiera in cerca di migliori opportunità economiche. Questo non è il caso dei rifugiati, che non hanno la possibilità di tornare nelle proprie case in condizioni di sicurezza e che, di conseguenza, hanno diritto a specifiche misure di protezione, secondo le vigenti norme del diritto internazionale.
Non distinguere i termini “rifugiati” e “migranti,” distoglie l’attenzione dalle specifiche misure di tutela legale che richiedono i rifugiati. Tra queste, la protezione dal refoulement (respingimento) e dalla penalizzazione per aver attraversato frontiere senza autorizzazione in cerca di sicurezza. Non esiste alcun tipo di illegalità nel richiedere asilo – al contrario, è un diritto umano universale. Usare indistintamente i termini “rifugiati” e “migranti” può compromettere il sostegno pubblico a favore dei rifugiati e l’istituzione dell’asilo, in tempi in cui, più che mai, i rifugiati hanno bisogno di tutela.
Dobbiamo trattare tutti gli esseri umani con rispetto e dignità. Dobbiamo assicurare che i diritti umani dei migranti siano rispettati. Allo stesso tempo, dobbiamo fornire un’appropriata riposta legale e operativa per i rifugiati in ragione della loro specifica situazione, al fine di non indebolire le responsabilità che gli Stati hanno nei confronti di queste persone. Per questo motivo, l’UNHCR si riferisce sempre separatamente a “rifugiati” e a “migranti,” affinché le cause e il carattere peculiare degli spostamenti dei rifugiati siano chiari e non si perdano di vista gli obblighi specifici previsti dal diritto internazionale nei confronti dei rifugiati.
6. È davvero sempre una “scelta” dei migranti quella di migrare?
I fattori che spingono le persone a migrare possono essere molto complessi. Spesso le cause hanno molteplici sfaccettature. I migranti possono talvolta spostarsi per cercare opportunità di lavoro e migliorare le proprie condizioni di vita, o in altri casi, per motivi di studio, ricongiungimento familiare o altre ragioni. A volte le persone si spostano per fuggire dalle conseguenze drammatiche di disastri naturali, carestie o povertà estrema. Le persone che lasciano i propri paesi per questi motivi solitamente non sono considerate rifugiate secondo il diritto internazionale.
7. I migranti, non meritano anche loro protezione?
Le ragioni che spingono un migrante a decidere di lasciare il proprio paese sono spesso impellenti, ed è importante trovare il modo di rispondere ai loro bisogni e tutelare i loro diritti. I migranti sono tutelati dalla normativa internazionale sui diritti umani. Questa tutela deriva dalla dignità fondamentale inerente ad ogni essere umano. Per alcuni, la mancata tutela dei diritti umani comporta gravi conseguenze. Può risultare in violazioni dei diritti umani, come per esempio discriminazioni gravi, detenzioni o arresti arbitrari, lavoro forzato, schiavitù o sfruttamento lavorativo.
Inoltre, alcuni migranti, come le vittime di tratta o i minori non accompagnati o separati, possono avere bisogni specifici di protezione e di assistenza, che devono essere soddisfatti. L’UNHCR sostiene quella gestione della migrazione che garantisce e rispetta i diritti umani di tutte le persone in transito.
8. I rifugiati sono “migranti forzati”?
Il termine ‘’migrazione forzata’’ è talvolta utilizzato nel campo delle scienze sociali o in altri, come definizione generica e aperta a diverse interpretazioni, che comprende vari tipi di spostamento e movimento involontario – sia attraverso confini esterni che all’interno dei confini nazionali. Per esempio, questo termine è stato utilizzato in riferimento a coloro che sono stati costretti a spostarsi a causa di disastri ambientali, conflitti, carestie, o progetti di sviluppo su larga scala. Quello di ‘’migrazione forzata’’ non è un concetto legale, e così come per il concetto di ‘’migrazione” non esiste una definizione universalmente riconosciuta. L’espressione ‘’migrazione forzata’’ include un’ampia gamma di fenomeni. Al contrario, il termine rifugiato è chiaramente definito ai sensi del diritto internazionale e dei rifugiati, e gli Stati hanno accettano una serie di obblighi giuridici specifici nei confronti di queste persone. Fare riferimento ai “rifugiati” come “migranti forzati” sposta l’attenzione dai bisogni specifici dei rifugiati e dagli obblighi legali che la comunità internazionale ha concordato nei loro riguardi. Per prevenire questo tipo di fraintendimento, l’UNHCR evita l’utilizzo del termine “migrazione forzata” per riferirsi ai movimenti dei rifugiati e ad altre forme di sfollamento.
9. Qual è dunque il modo migliore di riferirsi a gruppi misti di persone in transito, che includono sia rifugiati che migranti?
L’UNHCR preferisce riferirsi a gruppi di persone che viaggiano in movimenti misti usando l’espressione “rifugiati e migranti.” Questo è il modo migliore affinché sia riconosciuto che tutte le persone in transito godono di diritti umani, che dovrebbero essere rispettati, protetti, e soddisfatti; e allo stesso tempo che rifugiati e richiedenti asilo hanno bisogni e diritti specifici protetti da un apposito quadro normativo.
Talvolta nei dibattiti politici, il termine “migrazioni miste,” e sinonimi come “flussi misti” o “movimenti misti,” possono essere usati per riferirsi al fenomeno di rifugiati e migranti (incluse le vittime di tratta o altri migranti vulnerabili) che viaggiano fianco a fianco lungo le stesse rotte, servendosi degli stessi facilitatori.
Dall’altro lato, non è chiaro il termine “migrante misto,” che è a volte utilizzato per definire in modo approssimativo una persona che viaggia in un flusso migratorio misto, il cui status individuale è sconosciuto o che si sta spostando per ragioni multiple e sovrapposte. Questo termine può generare confusione e celare i bisogni specifici dei rifugiati e dei migranti che costituiscono questo flusso. L’utilizzo di questo termine non è raccomandato.
10. E i rifugiati che lasciano un paese ospitante e si dirigono verso un altro? Non sono meglio descritti come “migranti” se si spostano dal primo paese nel quale sono stati accolti?
Un rifugiato non smette di essere un rifugiato o diventa un “migrante” quando lascia un paese in cui è stato accolto per spostarsi in un altro. Una persona rifugiata è definita tale perché è priva della protezione del suo paese di origine. Spostarsi verso un altro paese di asilo non cambia questa condizione e non incide sullo status della persona come rifugiata. Una persona che soddisfi i criteri per lo status di rifugiato rimane un rifugiato, a prescindere della rotta particolare lungo cui si sposta in cerca di protezione o di opportunità per ricostruire la propria vita, e a prescindere delle varie tappe in cui si articola questa ricerca.